Sulla riforma del lavoro in arrivo

Snodo centrale del piano di “modernizzazione” (termine con cui si designa il progresso verso relazioni industriali e sociali analoghe a quelle precedenti le conquiste operaie di fine ‘800) del neo-governo è la tanto discussa riforma del mercato del lavoro. Si tratta fondamentalmente di proseguire un cammino trentennale verso l’individualizzazione dei rapporti di lavoro rimasto ancora incompiuto.

Abbiamo selezionato una serie di articoli e di analisi per capire cosa sta per arrivare.

Iniziamo da La Repubblica che ha pubblicato una serie articoli molto utili.
Innanzitutto quest’articolo di Roberto Mania ci fa capire bene il contesto (e le pressioni) internazionali all’interno del quale questa riforma si inserisce. Basti in questo senso la frase del ministro Passera nel World Economic Forum di Davos: <“Affronteremo tutti i problemi. Anche quello della flessibilità in uscita. E vi sorprenderemo”. Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, parla nella freddissima Davos, davanti ai potenti dell’economia globale.> In effetti è almeno dai tempi della famigerata lettera della BCE che la politica italiana guarda ossessivamente al quadro internazionale: <La lettera arrivata da Francoforte resta un vincolo forte per il governo tecnico di Roma. Lo ha detto più volte il ministro del Lavoro, Elsa Fornero; l’ha confermato il premier Mario Monti quando ha sostenuto che non possono esserci tabù nel momento in cui si avvia un negoziato per la riforma del mercato del lavoro; l’ha ripetuto Passera a Davos. Perché la globalizzazione è entrata nelle relazioni industriali. Non c’è solo il caso Fiat-Chrysler di Sergio Marchionne.> Come conciliare le rigidità sindacali e i vincoli internazionali è la grande questione in ballo. Le prospettive sono da una parte: <L’articolo 18 non sarà toccato per i lavoratori che oggi ne sono tutelati. Questa, ormai, sembra una certezza. E Monti l’ha detto anche nel suo discorso programmatico in Parlamento. Cgil, Cisl e Uil, inoltre, non potrebbero mai far passare una riduzione delle protezioni per chi le ha, tanto più che si tratta di una quota di lavoratori che costituisce la maggior parte dei loro iscritti, gli stessi che hanno già subìto il superamento delle pensioni di anzianità e l’allungamento dell’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia> Dall’altra: <Il tracciato potrebbe essere più o meno questo: per chi viene assunto con un contratto a tempo indeterminato, provenendo dal bacino della precarietà non sarebbe previsto il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa bensì un risarcimento economico (esattamente ciò che suggeriva la Bce nella lettera estiva). L’ammontare del risarcimento crescerebbe con l’anzianità di lavoro>

Un altro articolo ci spiega come si strutturerà la trattativa che inizierà mercoledì con il primo incontro con le “parti sociali”(che oltre ai sindacati confederali comprendono tra gli altri Confindustria e l’Associazione Bancaria Italiana, presso la cui sede sarà ospitato il primo incontro): <proprio per evitare che il confronto si impantani subito su questi singoli capitoli ad altissima intensità politica, la Fornero ha concordato insieme a Monti il “metodo dello spacchettamento”, cioè la divisione della trattativa in quattro “sotto-tavoli”. Nessun documento “prendere o lasciare”, ma una serie di proposte, un ascolto delle richieste, e poi una sintesi finale, sulla quale costruire il consenso.>
I punti in discussione sono le forme contrattuali: sfoltire l’insostenibile “giungla dei 46 modelli contrattuali” sostituendo ad esso ipotesi come <Il “contratto unico” sul modello Boeri-Garibaldi, da questo punto di vista, è un’ipotesi sul tappeto, come lo è il modello Ichino: tutti ruotano intorno all’idea di un contratto di base, per i neo-assunti, di durata più o meno triennale e a tutele crescenti. Ma questo impianto non può esaurire le piattaforme contrattuali possibili: “Non ha senso eliminarle tutte, comprese quelle che hanno dato buoni risultati”. Semmai si tratta di aggiornarle>
La formazione: <La formazione è una risorsa che non si acquisisce all’inizio del ciclo produttivo, e poi basta, ma va assicurata fino al raggiungimento dell’anzianità. Se aumenta l’età pensionabile, deve aumentare anche la spesa che le aziende destinano a questo scopo, e che in concorso con lo Stato deve garantire anche a chi perde il lavoro in età avanzata di potersi riconvertire, e di poter rientrare nel mercato anche se ha superato i 50 anni di età. È il concetto di “formazione permanente”>
La flessibilità: <Qual è il problema, lo ha spiegato la stessa Fornero, nel suo intervento in un convegno a Milano: “Oggi esiste un legame eccessivo tra il singolo lavoratore e il suo posto di lavoro. Un legame che si tende a far “resistere”, molto spesso, anche quando l’azienda che fornisce quel posto di lavoro non è più in grado di assicurarlo. Questo problema va risolto”>
Gli ammortizzatori sociali: <Si tratta di spostare risorse da una voce all’altra, per rafforzare l’assistenza anche con strumenti come il salario minimo. Si tratta di trovarne di nuove, per sostituire strumenti “non più adeguati ai tempi che stiamo vivendo”. Ma al Tesoro di fondi da dedicare a questo capitolo di spesa, al momento, praticamente non ce ne sono, come Piero Giarda e Vittorio Grilli hanno ripetuto al presidente del Consiglio l’altro ieri. Per questo si interviene su quello che c’è>

Esemplare, per capire il terreno ideologico-culturale della questione, lo scambio tra Eugenio Scalfari e Susanna Camusso sempre su La Repubblica. Il primo si rifà a Lama per invitare la CGIL ad accettare i sacrifici dei suoi iscritti e di tutti i lavoratori dipendenti quando il bene comune esige un “sistema Italia” competitivo nel capitalismo globalizzato. La seconda si rifà sempre a Lama per ricordare quanto sia importante per la crescita il ruolo di una politica industriale che non può limitarsi a chiedere sacrifici unilaterali da parte dei lavoratori, che sarebbero comunque di ostacolo al rilancio dell’economia nella misura in cui farebbero calare la domanda aggregata.
Presupposto in assoluta continuità con la storica intervista del ’78 all’allora segretario della CGIL Luciano Lama, è l’identificazione dell’interesse generale con lo sviluppo capitalistico. Qualcosa che di sicuro per gli interlocutori sembra cambiato è che se per il segretario del tempo era “un’elevata dose di coscienza di classe” a far capire che “la sola soluzione è la ripresa dello sviluppo” a spingere a “rinunciare al proprio “particulare” in vista di obiettivi nobili ma che in concreto impongono sacrifici” (sic!), ora per l’uno (Scalfari) ormai “è cambiata la divisione internazionale del lavoro; è cambiato il capitalismo, si sono decomposte le classi, è affondato il comunismo reale“, mentre per l’altra (la Camusso) il termine “classe” neanche esiste.

Per capire cosa velino queste belle parole, ci facciamo aiutare dai compagni del collettivo CCW, che individuano nell’annunciata riforma “uno scarto decisivo rispetto al passato anche recente. Uno scarto che non ha più solo a che fare con una dimensione “economica” di impoverimento crescente, ma investe tutti gli aspetti della vita, delle relazioni sociali, di ciò che è possibile o impossibile fare e persino pensare. Se si toccano le forme contrattuali, se si favoriscono i “licenziamenti”, si abolisce l’articolo 18, si smantellano i sindacati, si toccano gli ammortizzatori sociali, si allunga l’età lavorativa, cambia tutto il sistema di relazioni industriali, tutto il sistema di diritti, tutta la percezione che il lavoratore ha di sé e degli altri – sia dei suoi compagni che dei suoi padroni. Si prospetta così un sistema “neocorporativo” ”
Di questo sistema che va imponendosi, dicono, bisogna aver chiaro due questioni in particolare: “1. “Riforma” delle pensioni e “licenziamenti facili” sono strettamente legati, sono mosse complementari, nonostante siano state presentate come aspetti separati: […] mentre si allunga l’età lavorativa, mossa necessaria per far cassa nell’immediato, eliminando il costo sociale rappresentato dal pensionato e facendo coincidere così l’intero ciclo di vita con il ciclo del lavoro, si deve intervenire per scaricare i lavoratori che raggiunta una certa età non sono più produttivi. […] abbiamo di fronte un incubo non solo “economico”, ma sociale e morale: la scomposizione dei lavoratori secondo una linea generazionale, con i giovani precari che mirano nella fabbrica o nell’azienda a prendere il posto dei padri troppo tutelati, mentre questi padri saranno costretti dopo trent’anni di fatica a lavori umilissimi per totalizzare gli anni contributivi
2. Quando si parla di “crescita” si sottintende sempre “crescita dello sfruttamento”. […] in Italia, rispetto al resto dell’Europa e del mondo, a causa di un’eredità delle lotte operaie e di una staticità complessiva della società, ci sono ancora troppe rigidità, ancora troppi diritti. Per poter “crescere” bisogna quindi far crescere la possibilità e la effettualità dello sfruttamento dei lavoratori, e bisogna quindi eliminare ogni fattore di resistenza (come i sindacati) e tenere compressi i salari. Bisogna poi liberare anche capitali, che devono potersi muovere e non restare “immobilizzati”: ecco spiegata l’enfasi sulle privatizzazioni, sulle liberalizzazioni, sui fondi pensione integrativi
Nel seguito dell’articolo potrete trovare una serie di link ad altri interessanti studi che non citiamo perché ci hanno pensato loro…

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