La Baracca Autogestita

la Baracca Autogestita è un aula-studio (e non solo) occupata da studenti e studentesse all’interno del polo scientifico dell’università di Padova (via Marzolo 3a). Occupazione che ci ha visto attivamente partecipi. Qui sotto il manifesto d’intenti

Gli scioperi dei trasporti, la rabbia dei pescatori, le aziende occupate, i presidi permanenti dei lavoratori e dei comitati territoriali, ci parlano di una società tanto stremata quanto reattiva rispetto ad un ordine economico e giuridico sempre meno in grado di venire incontro ai suoi bisogni.
Non è necessario citare le condizioni lavorative in fabbrica sempre peggiori (come quelle proposte dalla FIAT nei recenti accordi) per capirlo: basta guardare alla vita quotidiana di molti di noi, presi, usati, buttati, tra decine di stages in cui non si impara nulla, lavori precari o in nero, usuranti e senza senso.
Questa è la realtà di chi è costretto a vendere se stesso per vivere, a sacrificare il proprio corpo sull’altare di un processo produttivo tanto dedito al profitto quanto indifferente alla devastazione fisica, ambientale e morale; e tanto instabile e perverso da necessitare di “sacrifici” perché si perpetui la macchina dell’opulenza e del consumo, come si sta manifestando con le strategie di uscita dalla crisi degli ultimi mesi.
Condizioni contro cui si sono scagliate anche le mobilitazioni studentesche degli ultimi anni.
Studenti come noi. Figure transitorie ed effimere legati ad una particolare istituzione: l’ Università. Università di cui abbiamo imparato a conoscere i limiti.
Un’istituzione funzionale alla conservazione di questo stato di cose nella misura in cui noi non siamo in grado di sottrarla alle esigenze del sistema produttivo, al mercato, all’ideologia dominante – lottando perché non sia solo una fabbrica di conoscenza mercificata e un luogo di educazione di futuri lavoratori precari, ormai abituati a passare indifferentemente da una occupazione ad un’altra, a non dare significato a ciò che fanno, troppo impegnati a rincorrere crediti, tirocini ed altre schifezze.
Un’università bloccata da una burocrazia ipertrofica, da statuti e regole autoreferenziali derogabili solo quando la sua stabilità istituzionale è minacciata (come dimostra la militarizzazione del Rettorato ogniqualvolta una decisione delicata debba essere “democraticamente” presa).
Un’università sempre più lontana dalle nostre esigenze: diminuiscono le possibilità di partecipazione da parte degli studenti negli organi decisionali, aumentano le tasse universitarie ma peggiorano servizi, vengono chiuse aule studio e mense, e lasciato alla mercede di topi e ragni un importante studentato. Intanto la qualità della formazione e della ricerca vengono immolate in nome della semplificazione e del mercato; e proprio perchè mercato non fa rima con pubblico e statale, vengono ridotte le borse di studio a un pugno di soldi che divide i molti idonei, dai sempre più pochi assegnatari. E mentre da un lato vengono impedite le possibilità dello studente di condurre il percorso universitario pensando solo allo studio, dall’altro egli deve sorbirsi la retorica della “meritocrazia” che secondo parametri meramente quantitativi, penalizza chi è costretto contemporaneamente a lavorare, per vantarsi poi delle prospettive di un precario.

Di fronte a questo scenario ci è sembrato necessario riprenderci questo posto dove soddisfare l’impellente necessità di studiare in aule non sovraffollate e con lo spazio di cui si ha bisogno.
Riprenderci un posto in cui si possano anche far nascere percorsi di critica della società, del sapere, della scienza, studiando non solo quindi per superare un esame; uno spazio dove creare una socialità autentica dove la cooperazione prenda il posto di una competizione sempre più simile ad una guerra tra poveri; uno spazio dove solidarizzare con altre espressioni della stessa lotta al di fuori del nostro contesto accademico.
Uno spazio autonomo per non rischiare di essere strumentalizzati da chi, dal rettore ai ricercatori, spesso si muove più per soddisfare le proprie rivendicazioni corporative che per mettere in discussione lo status quo. Per avere la libertà di legarsi alle altre figure lavorative, dal personale tecnico-amministrativo agli esternalizzati dei servizi, delle cui condizioni spesso di peggior sfruttamento non sappiamo nulla.
Uno spazio autogestitito dove attraverso il confronto quotidiano si riescano a rompere gli automatismi a cui finiamo per conformarci passivamente, frutto di una socialità arida e individualizzata. Spazi dove questo si possa scardinare perché si è parte sociale attiva, prendendo collettivamente le decisioni e sperimentando percorsi e pratiche comuni.
Uno spazio per soddisfare i nostri bisogni ed essere agenti della trasformazione verso un mondo più giusto.

La Baracca Autogestita