Nuove guerre, per nuovi proletari. Siria e Iran.

Le rivolte di massa iniziate ormai più di un anno fa tra Tunisia ed Egitto hanno segnato irrevocabilmente i rapporti di forza all’interno di quei paesi, ma altrettanto verso l’esterno: nordafrica e paesi arabi sono una delle aree di delocalizzazione produttiva e di estrazione di materie prime irrinunciabili per la produzione capitalistica. La guerra in Libia( a 100 anni dalla prima invasione coloniale ad opera del Governo Giolitti) ha senza dubbio rappresentato un tentativo degli stati rappresentanti il capitalismo egemonico di porre un limite alle rivendicazioni delle piazze ed evitare una possibile saldatura geografica oltre che ideale delle rivolte. Negli ultimi mesi l’attenzione a livello internazionale si è spostata sulla Siria, e l’Iran è tornato a destare l’indignazione di cronisti, capi di stato e politicanti; fanno capolino le retoriche umanitarie e le immagini di crimini spesse volte costruiti. Quali sono le nostre possibilità di intervento? e le nostre necessità?

La guerra è uno dei momenti di maggior rilancio dell’espansione capitalistica, porle una limite concreto è quindi anche porre un limite al crescere dello sfruttamento.

Riportiamo qui alcuni appunti trascritti durante un’assemblea pubblica “Per discutere delle nuove guerre in preparazione e su come opporci ad esse” organizzata dal -Comitato permanente contro il razzismo e le guerre- di Marghera che si tenne il 4 Aprile 2012.

Oltre agli appunti sono riportate le registrazioni di alcuni interventi (praticamente tutti i primi 4 interventi) che pure sono riassunti negli appunti, ma per chi avesse tempo di ascoltarli sono sicuramente più completi.

Da diverso tempo stiamo assistendo ad un’accelerazione dei piani di aggressione verso Siria ed Iran. Una possibile sequenza dei conflitti può essere, seguendo un filo logico che le unisce Libia->Siria->Iran.

Dal 2001 nelle dichiarazioni dei vertici militari statunitensi vengono ventilati piani di aggressione all’Iran. Negli ultimi anni si è andato sommando anche il sostegno dell’Unione Europea, anche se tende a dilazionare e proporre sanzioni.

Per Israele invece l’attacco all’Iran sta diventando una necessità.

Anche in Italia vediamo alcuni segnali, come l’approvazione delle sanzioni; in particolare per l’embargo petrolifero il governo ha parlato di un “sacrificio necessario”.

I servizi segreti Israeliani stanno compiendo numerose incursioni all’interno dei confini Iraniani e il dibattito interno ad Israele è molto spostato su un possibile attacco. Sui principali quotidiani nazionali si fanno stime di costi, danni da possibili risposte e si parla anche del numero di vite umane a rischio.

Nel frattempo i legami militari e commerciali di Italia e Germania con Israele aumentano: vendita di aeroplani di Finmeccanica e sottomarini tedeschi oltre che esercitazioni congiunte con USA e Grecia.

Perché per Israele la guerra stà diventando una necessità?

In febbraio c’è stato uno scipero generale. Sta avvenendo una polarizzazione sociale, concomitante con una riduzione dei servizi pubblici e il trasferimento di fondi sulle spese militari. Vi sono tensioni con gli Ultra-ortodossi ( manifestazioni e contromanifestazioni). Vi è quindi la necessità di ritrovare una coesione sociale interna, ricompattare ed evitare che le tensioni sociali divampino. Allo stesso tempo la leadership israeliana ha bisogno di arrestare un processo di isolamento esterno. In particolare le rivolte all’interno dei paesi arabi senza un intervento internazionale rappresentano un problema reale per Israele, abbiamo visto infatti come la grandissima mobilitazione che ha portato alla caduta di Mubarak in Egitto, ha anche costretto il governo Egiziano ad interrompere la collaborazione con Israele sopratutto dopo l’assalto all’ambasciata Israeliana al Cairo seguita all’uccisione di alcuni soldati egiziani sul confine.

Alla conferenza degli “amici” della Siria con USA, Turchia ed altri, sono stati stanziati aiuti economici per gli oppositori di Assad. In realtà per i gruppi armati, tendenzialmente esterni alle mobilitazioni di massa.

Con/contro i governi o con gli sfruttati?

La Siria come l’Iran oggi sembrano essere baluardi di una resistenza contro le punte più organizzate e violente del capitalismo gobale, si tratta però di un gioco tutto interno agli interessi dei diversi capitali internazionali e delle élite che difendono la propria personale posizione di potere.

Noi non daremo nessuna patente antimperialista ai governi autocratici della Siria e dell’Iran come non la davamo a Gheddafi.

La ribellione in Siria è composta in parte considerevole da proletari, che mancano però di una progettualità politica.

Queste aggressioni sono contro noi stessi per questo dobbiamo nel modo più forte possibile opporci a queste guerre. Come farlo in modo sensato? Come impedire il ripetersi di una situazione come quella della guerra in Libia? sono le domande a cui serve dare risposta.

Quali sono le attuali posizioni all’interno di quel che rimane del movimento pacifista(diciamo quello contro la guerra in Iraq):

  1. Abbiamo una posizione che è di fatto interventista, che si divide fra i coscienti leader che sostengono che siamo di fronte a ribellioni popolari e ad una violazione dei diritti umani, per cui bisogna mettere in atto tutto ciò che serve per sostenere la ribellione democratica e impedire l’uso della violenza da parte del regime. Questa posizione è poi accettata e sostenuta da una vasta base in buona fede.
  2. Chi dice che l’occidente interviene a sostegno di rivoluzioni posticce, create ad arte dalle stesse potenze imperialiste. Danno una visione distorta della questione, perché guardano l’attacco occidentale come un attacco alle leadership e non alle popolazioni Siriane e Iraniane e prima Libiche.

Nei fatti da entrambe le posizioni manca un’analisi cosciente della condizioni materiali in particolare sociali, che determinano il procedere dei movimenti quanto le resistenze e gli interessi della borghesia locale e internazionale. In particolare non viene presa in considerazione il ruolo della borghesia nazionale nella preparazione dell’intervento militare imperialista.

Un caso esemplare: la guerra in Yugoslavia.
Cosa ha provocato l’utilizzo di uranio impoverito? Una nuova proletarizzazione e la distruzione del sistema produttivo, che hanno quindi implicato una forte emigrazione e un abbassamento delle condizioni di vita sia in Yugoslavia sia in Italia in quanto principale destinazione dei lavoratori emigrati che sono ora molto più ricattabili e disposti quindi ad accettare salari più bassi e condizioni peggiori.
Al contempo in Yugoslavia la distruzione del sindacato ha provocato l’abbassamento dei salari e consentito quindi la delocalizzazione produttiva dai paesi vicini. Nel 2004 sono stati aboliti i contratti collettivi nazionali e vi è stata una liberalizzazione dei licenziamenti, molto simile all’abolizione dell’articolo 18 che il governo Monti sta portando avanti. Per attrarre capitali esteri, vi sono sovvenzioni statali (pagate quindi con una parte dei salari) fino a 9000€ (circa il doppio di uno stipendio annuale medio serbo) per l’assunzione di un lavoratore Serbo (con la garanzia del livello occupazionale per solo tre anni). In particolare la borghesia Italiana ha tratto un vantaggio significativo da questa situazione, Zastava-FIAT, “Banca Intesa Beograd – Serbia” la prima banca serba, OMSA. Etc
Nel caso della guerra in Yugoslavia, pur essendo state usate le medesime retoriche (guerra umanitaria, rivolta popolare da supportare contro un “nuovo Hitler”) essendo l’Italia la base operativa della missione militare internazionale e il tipo di intervento nuovo, il coinvolgimento dei lavoratori italiani fu maggiore, tanto che fu necessario mobilitare la dirigenza CGIL e creare un governo con i DS per dare legittimazione all’operazione. Oggi, come per la Libia, le decisioni non passano che in misura minima nel nostro paese perciò non è possibile esercitare un potere su queste decisioni e anche il coinvolgimento dei lavoratori è minimo. Anche la notorietà pubblica delle fasi preparatorie all’intervento militare è praticamente inesistente, perciò a notizia data non c’è tempo per nessun intervento di mobilitazione.
Guerra in Siria e guerra in Iran, paiono oggi molto distanti, ma non è così.
Lo stato Israeliano è in prima fila nel sostenere un’attacco, perché un crescente isolamento esterno ( dovuto anche alla primavera araba) potrebbe portare un esplosioni delle tensioni interne. Lo stesso vale per i pesi del Golfo che sono autocrazie ancor più di Siria ed Iran, che hanno molta paura del diffondersi delle rivendicazioni sociali, iniziate l’anno scorso (l’Arabia Saudita per buttare acqua sul fuoco nell’ultimo anno a destinato 94 Mld di dollari in wellfare per una popolazione di 26 mln di abitanti, un chiaro tentativo di affogare le tensioni). Il tempo gioca contro tutti questi regimi.
Intervento introduttivo

Le posizioni

L’esempio della guerra in Yugoslavia

La necessità e la possibilità dell’intervento contro la guerra

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